SPETTA AL DATORE LA PROVA DELL’IMPOSSIBILITÀ DI REPECHAGE DEL

SPETTA AL DATORE LA PROVA DELL’IMPOSSIBILITÀ DI REPECHAGE DEL DIPENDENTE LICENZIATO

'SPETTA AL DATORE LA PROVA DELL’IMPOSSIBILITÀ DI REPECHAGE DEL DIPENDENTE LICENZIATO'
SPETTA AL DATORE LA PROVA DELL’IMPOSSIBILITÀ DI REPECHAGE DEL DIPENDENTE LICENZIATO

Con l’ordinanza n. 1386 del 18 gennaio 2022, la Suprema Corte di Cassazione ha affermato che il datore di lavoro è tenuto a provare che, al momento del licenziamento del lavoratore, non vi fosse alcuna posizione di lavoro analoga a quella soppressa per l'espletamento di mansioni equivalenti. Tizia domandava di essere ammessa al passivo del fallimento della società Alfa per crediti derivanti dal proprio rapporto di lavoro subordinato con la predetta società: crediti ammontanti a complessivi euro 56.098,85 e riguardanti, oltre il TFR, le retribuzioni maturate dalla data del licenziamento sino alla dichiarazione di fallimento, e ciò a titolo di risarcimento del danno ex art. 18, comma 3 legge n. 300/1970, nonché per quanto previsto, sempre a titolo risarcitorio, dallo stesso art. 18, comma 4. Il giudice delegato ammetteva il solo credito relativo al trattamento di fine rapporto. Il Tribunale di Roma respingeva con decreto l’opposizione allo stato passivo proposta da Tizia, rilevando che il licenziamento dell'istante, motivato dalla necessità di soppressione della mansione di arredatrice cui la stessa era stata adibita, fosse legittimo. In ordine alla contestata sussistenza di un giustificato motivo di licenziamento, il giudice dell'opposizione osservava che la società fallita si era determinata alla risoluzione del rapporto di lavoro per la circostanza, confermata testimonialmente, della soppressione del posto di visual; in ordine, invece, all'onere, gravante sulla datrice di lavoro, di provare di non aver potuto adibire la dipendente ad una diversa mansione, il giudice capitolino osservava che la fallita aveva rinnovato alla ricorrente la proposta, già formulata in sede conciliativa, di destinare la stessa all'incarico di addetta alla vendita, proposta che non aveva avuto seguito. Tizia si rivolgeva alla Cassazione, che, nell’accogliere il ricorso, richiamava consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui “spetta al datore di lavoro l'allegazione e la prova dell'impossibilità di repéchage del dipendente licenziato, in quanto requisito di legittimità del recesso datoriale”, e sottolineava “l’impossibilità di adibire utilmente il lavoratore in mansioni diverse da quelle che prima svolgeva, tenuto conto della organizzazione aziendale esistente all'epoca del licenziamento”. Secondo gli Ermellini, il giustificato motivo oggettivo che rende legittimo il licenziamento intimato si configura proprio in assenza di collocazioni alternative del lavoratore all'epoca del licenziamento stesso; questo può ritenersi legittimo ove la determinazione del datore di lavoro di recedere dal rapporto sia motivata dall'impossibilità di destinare il prestatore di lavoro a mansioni diverse, situazione che, per condizionare il valido esercizio del diritto potestativo del datore, deve evidentemente sussistere nel momento in cui è espressa la volontà di recedere, e non in un momento successivo.

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'