SUL LICENZIAMENTO “RITORSIVO” E SULLE “RAGIONI INERENTI

SUL LICENZIAMENTO “RITORSIVO” E SULLE “RAGIONI INERENTI L’ATTIVITÀ PRODUTTIVA”: IL PUNTO DELLA CASSAZIONE

'SUL LICENZIAMENTO “RITORSIVO” E SULLE “RAGIONI INERENTI L’ATTIVITÀ PRODUTTIVA”: IL PUNTO DELLA CASSAZIONE'
SUL LICENZIAMENTO “RITORSIVO” E SULLE “RAGIONI INERENTI L’ATTIVITÀ PRODUTTIVA”: IL PUNTO DELLA CASSAZIONE

Con la sentenza n. 1514 del 25 gennaio 2021 la Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata in tema del licenziamento nullo, in quanto “ritorsivo”. In particolare, il Tribunale Supremo ha affermato che il licenziamento è nullo per motivo ritorsivo quando esso “costituisce l’unica effettiva ragione di recesso, ed esclusivo, nel senso che il motivo lecito formalmente addotto risulti insussistente nel riscontro giudiziale. Il motivo illecito può ritenersi esclusivo e determinante quando il licenziamento non sarebbe stato intimato se esso non ci fosse stato, e quindi deve costituire l’unica effettiva ragione del recesso, indipendentemente dal motivo formalmente addotto. L’esclusività sta a significare che il motivo illecito può concorrere con un motivo lecito, ma solo nel senso che quest’ultimo sia stato formalmente addotto, ma non sussistente nel riscontro giudiziale”. Gli Ermellini hanno voluto anche affrontare la questione delle cosiddette “ragioni inerenti l’attività produttiva” che legittimerebbero il giustificato motivo oggettivo di licenziamento. Secondo consolidato orientamento di legittimità, la ragione inerente all'attività produttiva (art. 3 legge n. 604 del 1966) è quella che determina un effettivo ridimensionamento riferito alle unità di personale impiegate in una ben individuata posizione lavorativa, indipendentemente dall’esistenza di situazioni economiche sfavorevoli o di crisi aziendali. La modifica della struttura organizzativa che legittima l'irrogazione di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo può essere colta non soltanto nell’esternalizzazione a terzi dell'attività alla quale è addetto il lavoratore licenziato, ma anche nella soppressione della funzione cui il lavoratore è adibito sia nella innovazione tecnologica che rende superfluo il suo apporto, sia nel perseguimento della migliore efficienza gestionale o produttiva o dell'incremento della redditività. Inoltre, secondo la Suprema Corte, l'andamento economico negativo dell'azienda non è un presupposto fattuale che il datore di lavoro deve necessariamente provare, dal momento che è sufficiente che le ragioni inerenti all'attività produttiva e all'organizzazione del lavoro, incluse quelle volte ad una migliore efficienza gestionale o ad un incremento della redditività, determinino un effettivo mutamento dell'assetto organizzativo mediante la soppressione di un’individuata posizione lavorativa.

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'