SULL’INGIUSTO PROFITTO NEL REATO DI RAPINA: IL PUNTO DELLA

SULL’INGIUSTO PROFITTO NEL REATO DI RAPINA: IL PUNTO DELLA CASSAZIONE

'SULL’INGIUSTO PROFITTO NEL REATO DI RAPINA: IL PUNTO DELLA CASSAZIONE'
SULL’INGIUSTO PROFITTO NEL REATO DI RAPINA: IL PUNTO DELLA CASSAZIONE

Con la sentenza n. 727/2022, la Corte di Cassazione si è pronunciata sull’ingiusto profitto del reato di cui all’art. 628 c.p. Nella vicenda in esame, i giudici di secondo grado confermavano la sentenza di condanna pronunciata dal Tribunale nei confronti di Tizio per i reati di cui agli artt. 612 bis, 628 e 582 e 585 cod. pen. Tizio era stato rinviato a giudizio per i reati di stalking, rapina e lesioni personali commessi in danno della fidanzata con la quale si era interrotto il rapporto sentimentale. All'esito del giudizio di primo grado l'imputato era stato assolto dal reato di stalking con la formula perché il fatto non sussiste, era stato dichiarato non doversi procedere per il reato di lesioni personali ed era stato invece condannato per il reato di rapina in merito alla sottrazione del telefono cellulare della persona offesa, conseguita strattonandola e facendola cadere al termine di una discussione avvenuta in un parcheggio. Avverso la sentenza di primo grado aveva presentato appello la difesa censurando la dichiarazione di responsabilità e la violazione di legge quanto alla qualificazione giuridica attribuita ai fatti. Difatti, secondo la difesa, quanto accaduto, considerato che lo scopo di Tizio era stato esclusivamente quello di leggere i messaggi e vedere le fotografie contenute nel cellulare e che il telefono era stato spontaneamente restituito la sera stessa, in assenza di un ingiusto profitto e del dolo specifico richiesto dalla norma, integrava il diverso e meno grave reato di violenza privata. All'esito del giudizio di appello, i giudici di merito, ritenuta infondata l'impugnazione, confermavano il giudizio di responsabilità e la qualificazione giuridica attribuita ai fatti dal giudice di prime cure. A questo punto, Tizio, a mezzo del difensore, si rivolgeva alla Suprema Corte, sollevando i seguenti motivi: • "Violazione ed erronea applicazione degli articoli 192, 533 e 546 lettera e) C.P.P. - Omessa valutazione di elementi di prova favorevoli all'imputato che offrivano una ricostruzione razionale, plausibile alternativa a quella recepita in sentenza nonché dei criteri di apprezzamento del materiale probatorio acquisito agli atti del processo - violazione del principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio. Manifesta illogicità e mancanza di motivazione"; • "Violazione ed erronea applicazione dell'articolo 628 c.p. ed in particolare del dolo specifico non potendosi considerare ingiusto il profitto morale a cui mirava l'agente che si impossessò del telefonino della ex fidanzata al solo fine di verificarne i contenuti (foto e messaggi). Manifesta illogicità e mancanza di motivazione"; • "Violazione ed erronea applicazione dell'art. 628 c.p. in relazione all'art. 610 c.p. ed in particolare mancata riqualificazione dei fatti nel delitto di violenza privata. Manifesta illogicità della motivazione". Il Tribunale Supremo dichiarava il ricorso inammissibile, stabilendo che, come aveva correttamente ritenuto la Corte territoriale, i fatti andavano qualificati nei termini della rapina consumata e non come violenza privata, dal momento che "l'ingiusto profitto del delitto di cui all'art. 628 cod. pen. non deve necessariamente concretarsi in un'utilità materiale, potendo questo consistere anche in un vantaggio di natura morale o sentimentale che l'agente si riproponga di conseguire, sia pure in via mediata, dalla condotta di sottrazione ed impossessamento, con violenza o minaccia, della cosa mobile altrui (…) così che il dolo specifico è costituito dall'intenzione del soggetto di perseguire un'utilità morale che lo stesso, consapevolmente e volontariamente, consegue appropriandosi comunque di un oggetto materiale che ha anche un intrinseco valore patrimoniale".

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'