Comunità energetiche in Italia

Comunità energetiche in Italia

'Comunità energetiche in Italia'
Comunità energetiche in Italia

Cosa sono, come funzionano e perché potrebbero rivoluzionare l’economia sostenibile del nostro Paese

Il mercato energetico europeo sta vivendo una transizione fondamentale da un sistema basato sull’energia fossile e nucleare verso uno basato interamente sull’energia rinnovabile, efficiente e sostenibile. Anche il mercato si trasforma, da centralizzato, dominato da grandi impianti ad uno distribuito, con milioni di cittadini attivi sul fronte dell’energia. In Italia il Decreto Milleproroghe 2020 ha introdotto quanto già previsto nella Direttiva EU RED II del 2018 riguardo l’autoconsumo collettivo da fonti rinnovabili; il decreto permetterà la condivisione di energia da fonti rinnovabili nei condomini e tra le imprese, grazie alla creazione delle comunità energetiche. Tuttavia, riguardo la loro applicabilità ed il quadro normativo che dovrebbe regolarle abbiamo solo ipotesi.

Ma cosa si intende per “autoconsumo collettivo” e “Comunità energetica”? L'autoconsumo collettivo permette a un gruppo di cittadini o agli abitanti dei condomini di consumare, immagazzinare e vendere energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili, risparmiando così sulla bolletta. Riprendendo la direttiva RED II, nota anche come direttiva rinnovabili (2018/2001), per essere considerati autoconsumatori che agiscono collettivamente è sufficiente un gruppo di almeno due autoconsumatori. Per far ciò la normativa europea prevede la possibilità di dar vita a forme di autoconsumo collettivo di energia rinnovabile definendo due tipologie di soggetti giuridici: la Renewable Energy Community (REC) e la Citizen Energy Community (CEC) rispettivamente introdotte con la Direttiva RED II e la Direttiva Elettrica (Direttiva 2019/944). In particolare le REC sono entità giuridiche basate sulla partecipazione aperta e volontaria da parte degli utenti pubblici o privati con l’obiettivo fornire benefici ambientali, economici o sociali a livello di comunità ai suoi azionisti o membri o alle aree locali in cui opera, piuttosto che profitti finanziari mediante attività di produzione e condivisione dell’energia rinnovabile anche a mezzo di accumulo. Tale attività non contempla la distribuzione dell’energia. Le CEC sono soggetti autonomi molto simili alle REC da punto di vista della partecipazione e missione sociale, ma, in questo caso, si prescinde dal carattere rinnovabile dell’energia. Esso può includere il possesso e la gestione della rete elettrica interna alla comunità e può prevedere servizi di efficienza energetica per i membri della comunità.

In Italia, la Legge Nazionale 221/2015 “Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali”, all’art. 71 istituisce le Oil free zone" al fine di promuovere su base sperimentale e sussidiaria la progressiva fuoriuscita dall’economia basata sul ciclo del carbonio e di raggiungere gli standard europei in materia di sostenibilità ambientale”.
Sulla scia di tale legge, negli anni passati, l’iniziativa locale e regionale ha cominciato a sviluppare i primi, interessanti progetti. In prima fila c’è sicuramente il Piemonte che nel 2018, con una legge regionale ha avviato la promozione e istituzione delle comunità energetiche ; nella zona del pinerolese – in un’area di 1.350 km quadrati, con una popolazione di 150mila abitanti – un gruppo di Comuni ha ufficialmente sottoscritto un protocollo di intesa per creare la prima Oil Free Zone in Italia per la progressiva sostituzione dei combustibili fossili con fonti rinnovabili, fino a raggiungere la completa indipendenza. Anche la Regione Puglia si è mossa per velocizzare il passaggio alle energie rinnovabili sostenendo la formazione di comunità energetiche con la Legge Regionale 9 agosto 2019, n. 45 che fornisce indicazioni ai Comuni che intendono procedere alla costituzione di una comunità energetica attraverso criteri che saranno specificati da un futuro provvedimento regionale.

I benefici che derivano dalla costituzione di una comunità energetica non sono però solo diretti solo alle utenze strettamente interessate, ma verrebbero estesi alla qualità e alla fornitura stessa di energia in tutto il Paese: a livello energetico e ambientale si avrebbero meno sprechi, grazie a una miglior gestione, e meno emissioni prodotte; a livello economico, una minor dipendenza dall’importazione estera e una maggiore sicurezza energetica; infine si avrebbero vantaggi anche a livello sociale perché i vantaggi delle comunità energetiche verrebbero percepiti anche dai cittadini che ne ricaverebbero benefici economici. I numeri infatti non sono banali: secondo una ricerca realizzata da Studio Ambrosetti e dal Politecnico di Milano, infatti, il volume d’affari delle comunità energetiche potrebbe toccare i 29 miliardi di euro – due punti di Pil. Risparmio in bolletta e minore impatto ambientale possono davvero scardinare un sistema – quello della distribuzione energetica – sin qui rimasto invariato da decenni. Chi non vorrebbe approfittare della doppia combinazione benefica? Non ancora la maggioranza degli italiani ma, secondo un’indagine dell’Istituto Piepoli, il 37% degli intervistati “potrebbe essere interessato a partecipare a un progetto di comunità energetica“.

Attualmente con il decreto Milleproroghe è possibile attivare l'autoconsumo collettivo da fonti rinnovabili e realizzare comunità energetiche rinnovabili. I clienti finali possono associarsi per diventare autoconsumatori che agiscono collettivamente o dare vita a comunità energetiche, a condizione che siano rispettati una serie di requisiti. Sarà possibile condividere l’energia prodotta da impianti rinnovabili per potenza complessiva inferiore ai 200 kW ed effettuare autoconsumo utilizzando la linea di distribuzione elettrica esistente. Un sistema sperimentale, che si aggiunge ai primissimi progetti appena avviati dall’RSE, in attesa del recepimento della direttiva europea RED 2, la 2018/2001/UE, previsto per giugno 2021.
La novità della proposta sta soprattutto nell’utilizzo della rete esistente con il pagamento degli oneri di sistema sia per l’energia prelevata dalla rete sia per l’energia condivisa. Gli impianti realizzati in comunità energetiche non potranno accedere agli incentivi previsti dal decreto FER1, ma avranno un nuovo incentivo il cui funzionamento sarà individuato dal Ministero dello Sviluppo e il cui valore verrà definito da Arera. L’energia prodotta dalle comunità energetiche sarà autoconsumata nelle immediate vicinanze dell’impianto; questo farà diminuire i costi di gestione di tali reti, che oggi si trovano a gestire i fenomeni di sbilanciamento e che rappresentano un costo poi pagato in bolletta agli italiani.