Distanze tra edifici in centro storico: sentenza n. 5830/2021 del

Distanze tra edifici in centro storico: sentenza n. 5830/2021 del Consiglio di Stato

'Distanze tra edifici in centro storico: sentenza n. 5830/2021 del Consiglio di Stato'
Distanze tra edifici in centro storico: sentenza n. 5830/2021 del Consiglio di Stato

La sentenza n. 5830/2021 del Consiglio di Stato fa chiarezza sulle distanze minime da rispettare in caso di demolizione e ricostruzione di un fabbricato situato in centro storico.

Una società ottiene dal Comune il permesso a costruire per la demolizione e ricostruzione di un fabbricato in pieno centro storico. Alcuni condomini avevano chiesto al Tar Liguria l'annullamento di tale permesso poichè l'intervento edilizio avrebbe violato le distanze minime tra edifici previste dal D.M. 1444/1968, che ha introdotto il limite dei 10 metri di distanza con esclusivo riferimento alle “altre zone” diverse dal centro storico.

Il Tar Liguria accoglie le difese dei vicini, che a sostegno del ricorso avevano dedotto la violazione delle distanze, la mancata valutazione sulla “coerenza” come richiesto dall’art. 24 delle NTA, il difetto di motivazione e di istruttoria in ordine al conseguente incremento del carico urbanistico, la mancanza di legittimazione della società a causa dell’incidenza su beni condominiali (muro di contenimento). Il TAR ha ritenuto che l’intervento di demolizione e ricostruzione non fedele di un fabbricato preesistente, ubicato in zona A, deve reputarsi equiparato dall’art. 14 l.r 16/08 alla “nuova costruzione” così da essere tenuto al rispetto dei 10 metri dalle pareti finestrate salvo le deroghe di cui all’ultimo comma dello stesso articolo, nel caso di specie insussistenti. Secondo il TAR, quindi, l’esigenza sottesa alla disciplina sulle distanze, di evitare intercapedini dannose, "non cambia a seconda delle zone" e che non rileva "se le pareti dei due edifici siano esattamente parallele tra di loro ovvero se le stesse siano, e in che misura, oblique". Non ci sta il Comune che ha rilasciato il permesso a costruire, e propone appello al Consiglio di Stato sulla base di queste motivazioni:

  • il TAR ha erroneamente interpretato la norma di cui all’art. 9 del d.m. 1444/1968 non riguardando essa, contrariamente a quanto opinato in sentenza, le zone A (Centro Storico);
  • l’interpretazione seguita dal TAR è contraria non solo alla lettera della norma, ma anche alla finalità della stessa, che è quella di far prevalere le esigenze di salvaguardia delle caratteristiche urbanistiche dei centri storici imponendo il rispetto delle distanze e delle sagome preesistenti;
  • il TAR non ha considerato che sia la normativa regionale sia la disciplina urbanistica locale prevedevano la possibilità di derogare alla distanza minima di 10 metri con riguardo ai centri storici, anche con riferimento alle nuove costruzioni.

La tesi sostenuta dai vicini e accolta dal Tar Liguria, equiparava l’intervento di demolizione e ricostruzione alla “nuova costruzione”, e applicava per analogia la previsione del n. 2 dell’art. 9 D.M. 1444/1968 prevista per i “nuovi edifici”. Il motivo di fondo, accolto dal TAR, era che la ragione a fondamento della norma sulle distanze, (ovvero quella di evitare le intercapedini), fosse valida in tutte le zone, e quindi anche in centro storico.

Per i giudici di Palazzo Spada, l’art. 9 n. 2 del Dm 1444/1968 è chiaro: la distanza di 10 mt si riferisce a “nuovi edifici ricadenti in altre zone”, cioè in zone diverse dalla zona A. Non può farsi applicazione analogica di una norma che introduce un divieto o una limitazione. Per il Consiglio di Stato, la differenza prevista dall’art. 9 è frutto della volontà del legislatore e non di una sua dimenticanza. La ragione della differenziazione sta nel fatto che in centro storico non sono mai permesse nuove costruzioni, ma solo interventi sul preesistente. E quello effettuato dalla società, sulla base del c.d. Piano Casa regionale (L.r. 49/2009) era appunto un intervento di demolizione e ripristino in sito dell’esistente, con un aumento consentito dalla legge regionale fino al 35%.

Precisa ulteriormente il Supremo Collegio che “la classificazione dell’intervento quale costruzione ex novo non può derivare dalla semplice circostanza che il progetto di demolizione e ricostruzione del fabbricato preveda la realizzazione di ampliamenti della volumetria preesistente”. Una ristrutturazione può essere qualificata “nuova costruzione” quando “in ragione all’entità delle modifiche apportate al volume e alla collocazione, possa parlarsi di una modifica radicale dell’immobile, rendendo l’opera realizzata nel suo complesso oggettivamente diversa da quella preesistente (Cons. St. 2304/2020)”.

Al contrario, si tratta di ristrutturazione ediliziaquando viene modificato un immobile già esistente nel rispetto delle caratteristiche fondamentali dello stesso, mentre laddove esso sia stato totalmente trasformato, con conseguente creazione non solo di un apprezzabile aumento volumetrico (in rapporto al volume complessivo dell’intero fabbricato), ma anche di un disegno sagomale con connotati alquanto diversi da quelli della struttura originaria ( …) l’intervento rientra nella nozione di nuova costruzione” (Cons. Stato 423/2021).