COMPENSI DEL PROFESSIONISTA: LA CASSAZIONE AMMETTE I MASSIMI TARIFFARI

COMPENSI DEL PROFESSIONISTA: LA CASSAZIONE AMMETTE I MASSIMI TARIFFARI

'COMPENSI DEL PROFESSIONISTA: LA CASSAZIONE AMMETTE I MASSIMI TARIFFARI'
COMPENSI DEL PROFESSIONISTA: LA CASSAZIONE AMMETTE I MASSIMI TARIFFARI

Con l'ordinanza n. 2631 del 4 febbraio 2021 la Suprema Corte di Cassazione ha stabilito che è valido l’accordo con cui il cliente e il professionista concordano un compenso maggiore rispetto a quello previsto dai tariffari. Ciò è perfettamente in linea con quanto disposto dall'art. 2233 c.c., secondo cui “Il compenso, se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le tariffe o gli usi, è determinato dal giudice. In ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all'importanza dell'opera e al decoro della professione. Sono nulli, se non redatti in forma scritta, i patti conclusi tra gli avvocati ed i praticanti abilitati con i loro clienti che stabiliscono i compensi professionali”. La vicenda traeva origine dal fatto che Tizio, convenendo in giudizio il suo avvocato, domandava che venisse dichiarata la nullità della scrittura privata conclusa fra di loro, poiché integrava la fattispecie del patto di quota lite ed inoltre chiedeva la conseguente condanna del convenuto a restituire quanto percepito in più rispetto a quanto dovuto ai sensi del tariffario. Il Giudice di prime cure rigettava le domande dell’attore, in quanto le parti, con una scrittura successiva a quella suindicata, convenivano espressamente di riconoscere al professionista la maggiore somma pattuita. Tizio impugnava così la sentenza, ma secondo i Giudici di merito, le domande dell’appellante volte ad una determinazione del corrispettivo dovuto all'avvocato in misura diversa da quella corrisposta, non potevano trovare accoglimento, in quanto, nel caso in esame, doveva essere applicata la norma di cui all'art. 2233 cod. civ., in forza della quale può farsi luogo a determinazione del compenso soltanto se questo non sia stato convenuto dalle parti. A questo punto, il caso giungeva in Cassazione, che rigettava il ricorso stabilendo che “In tema di compensi spettanti ai prestatori d'opera intellettuale, l'art. 2233 cod. civ. pone una gerarchia di carattere preferenziale, indicando in primo luogo l'accordo delle parti ed in via soltanto subordinata le tariffe professionali, ovvero gli usi: le pattuizioni tra le parti risultano dunque preminenti su ogni altro criterio di liquidazione (Cass., Sez. II, 23 maggio 2000, n. 6732; Cass., Sez. VI-2, 29 dicembre 2011, n. 29837; Cass., Sez. III, 6 luglio 2018, n. 17726) ed il compenso va determinato in base alla tariffa ed adeguato all'importanza dell'opera soltanto in mancanza di convenzione. In particolare, in materia di onorari di avvocato deve ritenersi valida la convenzione tra professionista e cliente che stabilisce la misura degli stessi in misura superiore al massimo tariffario (Cass., Sez. II, 5 luglio 1990, n. 7051; Cass., Sez. II, 10 ottobre 2018, n. 25054), vigendo il principio di ammissibilità e validità di convenzioni aventi ad oggetto i compensi dovuti dai clienti agli avvocati, anche con previsione di misure eccedenti quelle previste dalle tariffe forensi (cfr. Cass., Sez. Un., 26 febbraio 1999, n. 103)”.

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'